Torna la rubrica di Berica Editrice dedicata ad alcuni elementi che rendono più espressiva la lingua italiana: le figure retoriche. Dopo aver parlato di onomatopea, di metafora e similitudine e di allitterazione, in questo episodio affronteremo un argomento altamente contrastante… l’ossimoro. Questa parola ha origine dall’unione di due termini greci il cui significato è rispettivamente “acuto” e “stolto, folle” e, già dal nome, si vede che è un contrasto. L’ossimoro, infatti, è un procedimento retorico che consiste nell’unione di due parole o espressioni il cui significato non è conciliabile perché in antitesi o contrarietà. È una figura retorica molto utilizzata in letteratura. Ad esempio, Dante fa uso di ossimori per esigenze ritmiche o metriche. Come nella sua Divina Commedia, dove scrive: «e cortesia fu lui essere villano». Ma la contrapposizione di termini antitetici viene spesso utilizzata anche nel linguaggio comune. Alcuni esempi di ossimoro sono: luce scura; brivido caldo; attimo infinito; falsa verità; silenzio assordante.